venerdì 4 settembre 2020

Famiglia

 

 

In questi giorni si chiude un cerchio importante per me e la parola famiglia scolora in un volume della mia storia che ha un suo posto nella parte alta della libreria, quella che si raggiunge con la scala. La costola sfilacciata, alcuni fogli staccati, un fiore, o meglio un ago di pino tra le pagine ingiallite.

Quando un cerchio si chiude, si generano, come per magia, due spazi distinti dove prima non vi era soluzione di continuità. L’unità sacra e inviolabile si è incrinata e la crepa ha fatto la sua strada fino al punto dal quale era originata. Chiudere il cerchio consente di lasciare fuori chi e cosa quell’unità ha distrutto. Al tempo stesso offre la possibilità di preservare all’interno ciò che quell’unità ha nutrito e che di essa si è nutrito.

Se mi chiedo cosa sia la famiglia e se la sua sostanza resti dentro o fuori dal cerchio, devo ammettere che ciò che resta sono memorie e nostalgia di un’unità perduta, un sentire magari anche comune, ma sicuramente non condiviso.

La familia latina era originariamente costituita dagli schiavi della casa, una sorta di pertinenza. Anche oggi il concetto di famiglia resta per lo più legato alla coabitazione, prevista peraltro dal codice civile, che struttura l’istituzione per gradi e ruoli con precisi diritti e doveri. Un’obbligazione giuridica prima ancora di una volontà spontanea. Chi mi conosce sa che, a differenza di coloro che considerano il matrimonio civile un rito squallido, ho sempre apprezzato la lettura degli articoli del codice civile che sanciscono diritti e doveri dei coniugi: fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell'interesse della famiglia e coabitazione. Questo perché non ho mai pensato ai legami amorosi come a una vicenda esclusivamente romantica e passionale. Se è indubbio che sia possibile essere fedeli, collaborare e coabitare senza amarsi è, a mio avviso, improprio, definire “amore” un legame che non si fondi su tali basi.

Oggi, nella cosiddetta società liquida, deresponsabilizzazione e individualismo sono la nuova religione fondamentalista. La conseguenza di ciò è che la famiglia arriva fin dove arriva “la buona sorte”, difficilmente oltre. Qualche sera fa ho ascoltato con interesse e piacere Sandro Veronesi durante la manifestazione “la città dei lettori”, in quell’occasione lo scrittore toscano, ha affermato che la famiglia non esiste più, ha cessato di esistere quando ha cessato di essere indissolubile.

In parte sono d’accordo con lui. Sicuramente la famiglia non è più la stessa e quando gli psicologi ci ripropongono modelli genitoriali o affettivi fondati su categorie come “ruolo”, “autorità” ed “esempio”, provo la sgradevole sensazione che si siano trasferiti tutti su un altro pianeta dimenticandomi quaggiù alle prese coi social e a fronteggiare armata di freccette una trasformazione epocale della società assimilabile a una bomba atomica.

La famiglia non è più indissolubile e quando il cerchio si chiude viene lasciata fuori, lontana nello spazio e nel tempo. Al suo posto, ovvero accanto ad alcuni eroici esempi di famiglie in via d’estinzione come orsi e koala e di singoli affezionati all’anacronistica indissolubilità, ci sono una molteplicità di “esperienze solidali e pseudo-familiari” alle quali i soggetti partecipano sulla base di un’economia delle scelte dettata dal benessere reciproco.

Forse in una società longeva come la presente, la competizione naturale non è più volta a riprodursi ma a garantirsi le migliori condizioni di vita il più a lungo possibile. Il comportamento più adattivo è ovviamente quello che supera l’individualismo in una solidarietà che implica cura e sostegno di un gruppo, di una comunità, di una pseudo-famiglia in un’economia delle scelte dettata da affetto e attenzioni. Non chiamiamoli “congiunti”, se possibile, spostiamo l’attenzione dal vincolo all’impegno. La famiglia o le pseudo-famiglie necessitano adulti responsabili che si assumano oneri e scelte nell’interesse di una persona o un gruppo di persone. Corresponsabili, complici, solidali. Soggetti che assumono spontaneamente un compito, che non è un dovere scritto e che non può limitarsi alla ricerca del benessere individuale. Più che di affetti stabili, forse si dovrebbe parlare di affetti responsabili. Il concetto di “pertinenza” implicito nel termine latino si trasferisce su un piano diverso per necessità all’interno di un’epoca nella quale la domus ha perso il ruolo centrale e aggregante che aveva in passato, le unioni sono spesso caratterizzate da distanze anche transnazionali e al posto della soffitta abbiamo il cloud. Forse si potrebbe pensare a un concetto di “coinvolgimento”, che ha anche una connotazione più orizzontale e meno gerarchica.

Ciononostante la vetusta indissolubilità, se non supportata dal diritto, può continuare ad essere una categoria dello spirito. Il fatto che la legge mi consenta un comportamento non implica ovviamente che me lo imponga. Perché mai, sapendo quanto tutto sia provvisorio e relativo, dovremmo darci “per sempre” a qualcuno? Secondo quale logica dovremmo ritenere di poter sfidare la cattiva sorte o anche solo il tempo?

Per un atto di fede. Uno slancio, un salto nel buio, una scommessa, una scelta. La fede nuziale è insieme simbolo dell’unione e cerchio chiuso che segna un limite e un confine (se non una pertinenza). Quello che sta dentro il cerchio è uno spazio dinamico che si espande o assottiglia seguendo la storia della singola famiglia e può diventare un cortile aperto e accogliente o uno scantinato buio di cui si è persa la chiave.

Foto mia

Non so se davvero la Famiglia non esista più. Eppure esistono la fedeltà, l’assistenza, la collaborazione. Soprattutto esiste la possibilità di scegliere. Una gran bella responsabilità, da indossare ogni giorno al posto di un cerchio vuoto. Se scegliere ogni giorno può apparire un’estrema espressione di libertà e consapevolezza, è evidentemente anche una immane fragilità e le vittime, per lo più indifese, di continue scelte libere e liberatorie sono i bambini e i giovani che si trovano a crescere in un mondo nel quale gli “adulti” si ostinano a non voler invecchiare o cedere loro alcuno spazio né professionale né ludico, dopo aver sottratto loro quello familiare. Negli ultimi mesi abbiamo anche deciso che la scuola è meno necessaria di una pizzeria o di una discoteca e la vediamo solo come uno spazio aperto al contagio.

Che una società senza famiglia sia meno unita e solidale e non abbia a cuore il futuro, dei più piccoli e del pianeta, mi pare evidente.

Magari dopo la familia latina, dopo la famiglia indissolubile e dopo quella liquida i nostri ragazzi ci sorprenderanno con una scelta rivoluzionaria: un atto di fede e di creatività che ricomponga l’unità perduta e generi una famiglia nuova capace di essere un valore positivo aperto, paritario e moderno, ma durevole.

Sesso