martedì 25 dicembre 2018

Racconto di Natale


Oggi ho pensato di fare gli auguri a modo mio, con un racconto.

"LEGAMI"

Gregorio stava scendendo le scale dell’ufficio dove lavorava per uscire. Doveva ancora ritirare il panettone dalla pasticceria di fiducia. “Auguri” ripeteva ai colleghi che incrociava e intanto ricercava sul cellulare la foto che Giulia gli aveva inviato via messenger, indossava la sottoveste di pizzo grigio perla che le aveva regalato due sere prima. Il loro scambio di regali. Guardava soddisfatto quella ragazza carina, soprattutto più giovane, e si sentiva carico di nuova energia, galvanizzato e pronto per dare il meglio di sé nel rito familiare delle feste.

Ritirò il panettone e prese ancora una bottiglia, quella speciale, francese, con la quale usavano brindare lui e Sara la sera del 25, il loro momento di parole, bilanci della giornata, commenti, il loro brindisi personale. Avevano iniziato quando i bambini erano piccoli per festeggiare l’intimità del sonno appagato regalato da Babbo Natale a Michele e Sveva; avevano poi mantenuto negli anni questo ennesimo rito, per riservarsi uno spazio fuori dal perimetro del loro specifico presepe e adesso che Sveva frequentava l’università a Padova e Michele viveva e lavorava a Duesseldorf il rito si conservava, forse perché piacevole o forse perché ci voleva troppo coraggio per rinnegarlo.

Come ogni anno avrebbero trascorso la vigilia dai genitori di Sara con la famiglia di sua sorella e il pranzo di natale in casa loro, Gregorio sarebbe andato a prendere il padre e lo avrebbe riaccompagnato alla casa di riposo nel tardo pomeriggio.

Quando entrò in casa vide per prima Suzanne, la moglie di Michele, a gambe incrociate sopra il divano che leggeva tenendo il libro poggiato sul pancione. “Ciao Suzanne” “Ciao papi, Kome andato laforo?” “Giornata tranquilla, tutti presi dagli auguri e desiderosi di andare a casa” rispose, ripensando in quell’istante all’immagine di Giulia che probabilmente non aveva fretta di andare a casa come gli altri e che il suo natale lo aveva avuto il 22 e lo chiamava languidamente da quella fotografia. “Michele? È uscito?” “Andato giokare squash Kon Lorenzo e Sveva dofefa ankora prentere rekali”. Suzanne era una ragazza dolcissima e mascolina insieme, non l’aveva mai vista adirata, aveva un modo vitale ma controllato di gestire la rabbia che Gregorio trovava affascinante. Sembrava che avessero un bel rapporto lei e Michele, franco e complice, non sempre facile ma “scorrevole”. “Gregoriooo! Hai preso il panettone?” “Si, certo” rispose alla voce proveniente dalla cucina e si diresse verso di lei. Sara stava preparando le crespelle al salmone per portarle a casa dei suoi. “Ciao”, le disse avvicinandosi e baciandole la testa china sulla teglia. “Ho preso anche la bottiglia per noi”. Sara sorrise “Mi domando se Sveva doveva ridursi al 24 per i regali, almeno fosse in pari con gli esami… quella ragazza mi fa venire ansia qualunque cosa faccia!” “Lo so” rispose Gregorio. “Ti posso aiutare?” “Se i biscotti sono freddi puoi metterli in quella latta e far partire la lavastoviglie con queste ultime cose, così mi vado a cambiare, grazie tesoro”.

Gregorio parcheggiò lungo le mura e presero a piedi via Romana. I suoi suoceri abitavano in un palazzo del centro. Cinque piani da fare a piedi con i pacchetti, la teglia, il panettone. Quando i bimbi erano piccoli doveva fare due viaggi dalla macchina. Le scale erano piuttosto strette. Incontrarono la Sig.ra Bertini del terzo piano che scendeva al secondo dalla sorella Ida. “Buongiorno e tanti auguri! Sveva sei sempre più bella! Michele! Che bello vedervi tutti insieme! Tanti auguri a tutti!”.

Arrivarono anche la sorella di Sara con il marito e la figlia Letizia. Fu il solito cenone, Gregorio pensava a quel sopratono che come un frastuono di fondo copriva il rumore dei pensieri, le parole che la mente si bisbigliava al sicuro dal campo aperto della tavolata.

“Abbiamo incontrato la Sig.ra Bertini, carina come sempre” disse Sara, “scendeva da sua sorella immagino. Certo è triste passare le feste loro due sole.” “Eh si, poverine! Almeno Ida un marito l’ha avuto, Lucia, che io sappia, una vita di solitudine...” rispose grave la madre di Sara.

Sveva intervenne poggiando la forchetta “Diciamo la verità, il Natale per come è concepito è una vera frustrazione per chi è solo. Pranzi di famiglia, cenoni, regali, tombola e mercante in fiera… ma quando sei solo come sali sulla giostra?” “Cara la mia psicologa” disse Sara “in parte hai ragione, ma è pur vero che la giostra poi...dove porta? In fondo gira su se stessa”.

“Forse la giostra ha senso per la forza centripeta, non va da nessuna parte, ma magari tiene insieme tutto, credo” disse Michele e Suzanne lo guardò sorpresa e intenerita.

Dopo cena giocarono al mercante in fiera e al gioco dei mimi, poi aprirono i regali. Sara indossò gli ennesimi orecchini e la nuova sciarpa che Gregorio le aveva acquistato e mentre la guardava avvolgersi nella morbida pashmina Gregorio si domandava se davvero quella donna amata così a lungo si sentiva limitata e prigioniera come era parso a tutti dalle parole dette a tavola. Aprì il proprio pacchetto, il regalo di Sara era ancora una volta un viaggetto, tre giorni a Madrid per loro due. Pensò che lui la inchiodava con orecchini e la legava con lunghe sciarpe mentre lei voleva solo ali.

Pensò alla sottoveste e a Giulia, vide quelle spalline di seta come nuovi lacci, quel pizzo come una tela di ragno. Forse era misero e miserabile, non in quanto traditore e bugiardo ma per questa sua tendenza ad imprigionare nel rito e nel suo immaginario le vite degli altri per dare vigore alla propria.

Prese il cane dei suoceri e lo portò a fare la giratina serale. Risalendo incontrò la sig.ra Bertini che se ne tornava al proprio appartamento al terzo piano dopo aver festeggiato la vigilia con la sorella. Aveva due libri e un profumo con sé, probabili regali.
Si fermò sulla porta a parlare con lei qualche minuto, gli raccontò del vecchio film che avevano guardato con Lucia, gli mostrò i libri, si scambiarono ancora gli auguri.

Chiese a Michele di prendere l’auto e propose a Sara di fare ancora due passi notturni in piazza Pitti e al Ponte Vecchio e fino ai Lungarni e di tornare con un taxi.

La tenne per mano passeggiando, gli piaceva che lei lo seguisse sempre volentieri nelle sue proposte, gli piaceva camminare tenendosi per mano, le dita intrecciate, così, inestricabili.

mercoledì 5 dicembre 2018

Tasche

Ultimamente ricorrono sempre più sovente tra amici, colleghi e conoscenti le narrazioni dell’età della nostra giovinezza con divertiti o amari raffronti con l’attuale declino morfologico e spesso anche contenutistico.

A me piace pensare che invecchiare sia un processo di crescita e non di deperimento, quanto meno, non esclusivamente di deperimento.

Un modo insolito per provare a guardare all’evoluzione non solo dei tempi ma del nostro specifico e unico tempo potrebbe essere analizzare cosa portiamo con noi oggi, cosa teniamo a portata di mano, diciamo in tasca, rispetto a ciò che vi tenevamo nella dorata età della giovinezza.

io e il cappottino 
La prima cosa che mi viene in mente se chiudo gli occhi e lascio la mia piccola mano liscia e morbida entrare nella tasca del cappottino cucito dalla mamma è la goduriosa sensazione tattile provocata dal fazzoletto di cotone. A volte intatto, appena stirato e odoroso, altre usato, abusato e ridotto in orrida polpetta.

Quando frequentavo le scuole medie posso affermare con sicurezza che nelle mie tasche si trovavano spesso gomme da cancellare dai profumi nauseabondi, probabilmente sottratte alla compagna di banco, e big bubble masticate e pigiate a forza in microscopici coriandoli che finivano per creare un unico composto pseudo-organico con il panno della giacca di Principe.

Intorno ai vent’anni nelle tasche si trovava sempre un biglietto dell’autobus, qualche tappo di penna masticato e, in rare occasioni mai dimenticate, una bustina con un profilattico.

Ad un certo punto la poesia organica della giovinezza si è interrotta bruscamente con l’avvento del governo degli strumenti e della tecnica e nelle tasche di informi piumini hanno preso a gravare come pietre le chiavi della macchina.

Per un periodo non lungo abbastanza vi ho estratto ed inserito con trafelata dolcezza il contenitore porta-ciuccio per porgerlo e toglierlo alla piccola creatura che credevo di portare con me, ma che in realtà mi portava con sé.

Oggi, mentre camminavo per strada, la mia mano stanca e sciupata ha cercato riparo e riposo ed ha trovato all’interno del cappottino un enorme, disperato buco.

Quella tasca sfondata mi parla di cose perdute ma anche di cose da cercare. Quello spazio inatteso, subìto mi apre nuove possibilità, il mistero e la vertigine dell’ignoto, del non posseduto.
La consapevolezza che niente è a portata di mano. Quella mano in cerca di rifugio e riposo si è fatta avanti baldanzosa allargando lo strappo per portarmi oltre le mie tasche.

Sesso