Oggi ho pensato di fare gli auguri a modo mio, con un racconto.
"LEGAMI"
Gregorio
stava scendendo le scale dell’ufficio dove lavorava per uscire.
Doveva ancora ritirare il panettone dalla pasticceria di fiducia.
“Auguri” ripeteva ai colleghi che incrociava e intanto ricercava
sul cellulare la foto che Giulia gli aveva inviato via messenger,
indossava la sottoveste di pizzo grigio perla che le aveva regalato
due sere prima. Il loro scambio di regali. Guardava soddisfatto
quella ragazza carina, soprattutto più giovane, e si sentiva carico
di nuova energia, galvanizzato e pronto per dare il meglio di sé nel
rito familiare delle feste.
Ritirò
il panettone e prese ancora una bottiglia, quella speciale, francese,
con la quale usavano brindare lui e Sara la sera del 25, il loro
momento di parole, bilanci della giornata, commenti, il loro brindisi
personale. Avevano iniziato quando i bambini erano piccoli per
festeggiare l’intimità del sonno appagato regalato da Babbo Natale
a Michele e Sveva; avevano poi mantenuto negli anni questo ennesimo
rito, per riservarsi uno spazio fuori dal perimetro del loro
specifico presepe e adesso che Sveva frequentava l’università a
Padova e Michele viveva e lavorava a Duesseldorf il rito si
conservava, forse perché piacevole o forse perché ci voleva troppo
coraggio per rinnegarlo.
Come
ogni anno avrebbero trascorso la vigilia dai genitori di Sara con la
famiglia di sua sorella e il pranzo di natale in casa loro, Gregorio
sarebbe andato a prendere il padre e lo avrebbe riaccompagnato alla
casa di riposo nel tardo pomeriggio.
Quando
entrò in casa vide per prima Suzanne, la moglie di Michele, a gambe
incrociate sopra il divano che leggeva tenendo il libro poggiato sul
pancione. “Ciao Suzanne” “Ciao papi, Kome andato laforo?”
“Giornata tranquilla, tutti presi dagli auguri e desiderosi di
andare a casa” rispose, ripensando in quell’istante all’immagine
di Giulia che probabilmente non aveva fretta di andare a casa come
gli altri e che il suo natale lo aveva avuto il 22 e lo chiamava
languidamente da quella fotografia. “Michele? È uscito?” “Andato
giokare squash Kon Lorenzo e Sveva dofefa ankora prentere rekali”.
Suzanne era una ragazza dolcissima e mascolina insieme, non l’aveva
mai vista adirata, aveva un modo vitale ma controllato di gestire la
rabbia che Gregorio trovava affascinante. Sembrava che avessero un
bel rapporto lei e Michele, franco e complice, non sempre facile ma
“scorrevole”. “Gregoriooo! Hai preso il panettone?” “Si,
certo” rispose alla voce proveniente dalla cucina e si diresse
verso di lei. Sara stava preparando le crespelle al salmone per
portarle a casa dei suoi. “Ciao”, le disse avvicinandosi e
baciandole la testa china sulla teglia. “Ho preso anche la
bottiglia per noi”. Sara sorrise “Mi domando se Sveva doveva
ridursi al 24 per i regali, almeno fosse in pari con gli esami…
quella ragazza mi fa venire ansia qualunque cosa faccia!” “Lo so”
rispose Gregorio. “Ti posso aiutare?” “Se i biscotti sono
freddi puoi metterli in quella latta e far partire la lavastoviglie
con queste ultime cose, così mi vado a cambiare, grazie tesoro”.
Gregorio
parcheggiò lungo le mura e presero a piedi via Romana. I suoi
suoceri abitavano in un palazzo del centro. Cinque piani da fare a
piedi con i pacchetti, la teglia, il panettone. Quando i bimbi erano
piccoli doveva fare due viaggi dalla macchina. Le scale erano
piuttosto strette. Incontrarono la Sig.ra Bertini del terzo piano che
scendeva al secondo dalla sorella Ida. “Buongiorno e tanti auguri!
Sveva sei sempre più bella! Michele! Che bello vedervi tutti
insieme! Tanti auguri a tutti!”.
Arrivarono
anche la sorella di Sara con il marito e la figlia Letizia. Fu il
solito cenone, Gregorio pensava a quel sopratono che come un
frastuono di fondo copriva il rumore dei pensieri, le parole che la
mente si bisbigliava al sicuro dal campo aperto della tavolata.
“Abbiamo
incontrato la Sig.ra Bertini, carina come sempre” disse Sara,
“scendeva da sua sorella immagino. Certo è triste passare le feste
loro due sole.” “Eh si, poverine! Almeno Ida un marito l’ha
avuto, Lucia, che io sappia, una vita di solitudine...” rispose
grave la madre di Sara.
Sveva
intervenne poggiando la forchetta “Diciamo la verità, il Natale
per come è concepito è una vera frustrazione per chi è solo.
Pranzi di famiglia, cenoni, regali, tombola e mercante in fiera… ma
quando sei solo come sali sulla giostra?” “Cara la mia psicologa”
disse Sara “in parte hai ragione, ma è pur vero che la giostra
poi...dove porta? In fondo gira su se stessa”.
“Forse
la giostra ha senso per la forza centripeta, non va da nessuna parte,
ma magari tiene insieme tutto, credo” disse Michele e Suzanne lo
guardò sorpresa e intenerita.
Dopo
cena giocarono al mercante in fiera e al gioco dei mimi, poi aprirono
i regali. Sara indossò gli ennesimi orecchini e la nuova sciarpa che
Gregorio le aveva acquistato e mentre la guardava avvolgersi nella
morbida pashmina Gregorio si domandava se davvero quella donna amata
così a lungo si sentiva limitata e prigioniera come era parso a
tutti dalle parole dette a tavola. Aprì il proprio pacchetto, il
regalo di Sara era ancora una volta un viaggetto, tre giorni a Madrid
per loro due. Pensò che lui la inchiodava con orecchini e la legava
con lunghe sciarpe mentre lei voleva solo ali.
Pensò
alla sottoveste e a Giulia, vide quelle spalline di seta come nuovi
lacci, quel pizzo come una tela di ragno. Forse era misero e
miserabile, non in quanto traditore e bugiardo ma per questa sua
tendenza ad imprigionare nel rito e nel suo immaginario le vite degli
altri per dare vigore alla propria.
Prese
il cane dei suoceri e lo portò a fare la giratina serale. Risalendo
incontrò la sig.ra Bertini che se ne tornava al proprio appartamento
al terzo piano dopo aver festeggiato la vigilia con la sorella. Aveva
due libri e un profumo con sé, probabili regali.
Si
fermò sulla porta a parlare con lei qualche minuto, gli raccontò
del vecchio film che avevano guardato con Lucia, gli mostrò i libri,
si scambiarono ancora gli auguri.
Chiese
a Michele di prendere l’auto e propose a Sara di fare ancora due
passi notturni in piazza Pitti e al Ponte Vecchio e fino ai Lungarni
e di tornare con un taxi.
La
tenne per mano passeggiando, gli piaceva che lei lo seguisse sempre
volentieri nelle sue proposte, gli piaceva camminare tenendosi per
mano, le dita intrecciate, così, inestricabili.