domenica 22 aprile 2018

Apparenza


Avendo parlato di bellezza in questi giorni mi sono trovata spesso a pensare alla sua sorella triste e vana: l’apparenza. Tante volte quest’ultima ci sembra vera bellezza però qualcosa non quadra. L’inganno è presto svelato quando l’immagine non rimanda ad alcun oltre da sé, non racconta una storia vera, un desiderio, una fede o un amore. L’apparenza è paga di sé. E’ uno specchio che riflette solo l’immagine di una forma vuota perché una fredda lamina scura impedisce di attraversare con lo sguardo la trasparenza del vetro e guardare oltre e intorno.

Penso alle fotografie nelle quali l’occhio di chi ci ama, un genitore, un amico, un innamorato si posa su di noi con quell’attenzione e quella partecipazione che sola può cogliere il momento di quello che siamo. Penso agli occhi di chi, fotografato, guarda verso un obiettivo che in realtà sono gli occhi della cura e dell’affetto, della curiosità e del desiderio. Certe volte sfogliando vecchi album vediamo quegli occhi che ci guardano e riconosciamo quello sguardo solo per noi. Certe volte ricordiamo anche i suoni, le parole, l’attimo e i mille momenti nei quali quello sguardo è stato per noi.
Poi ci sono i selfie. Mute, solitarie e inanimate pose, dove uno sguardo vitreo e senza interlocutore si spegne tristemente nel nero di uno specchio e non attraversa, non conosce trasparenza e non può liberarsi dalla prigione del proprio corpo per andare incontro a qualcuno o qualcosa.
Anche l’esposizione di sé e il narcisismo hanno una loro bellezza se riescono a proiettarsi ed andare oltre, se cercano anche disperatamente l’altro e l’oltre.


Mi viene in mente la tormentata e tenera bellezza di Marilyn Monroe su quel lenzuolo bianco davanti all’obiettivo e allo sguardo di Douglas Kirkland e credo che nell’interazione tra quelle due persone, nella seduzione e nel gioco la creatura bella e fragile abbia dato qualcosa di sé e l’uomo dietro l’obiettivo abbia cercato di dare spazio e visibilità ad un corpo ma non solo. Per contrasto l’immagine di una top model o soubrette col telefonino davanti allo specchio del proprio bagno, per quanto ben fatta, mi sembra possa solo apparire grigia e senza vita, senza respiro e seduzione perché manca l’occhio dietro l’obiettivo.
 In realtà quell’occhio c’è; è quello dei followers ovviamente, ma è “postumo” e questa distanza temporale fa sì che la forma di fronte allo specchio sia tristemente sola e il suo sguardo non possa cercare e desiderare, offrendo un immagine non seducente ma sedicente.
La vita dell’attimo, quella che passa negli sguardi, si spegne nel solipsismo di uno schermo freddo e nero verso cui guarda vitreo colui che scatta il selfie ed in cui si riflette in un attimo di solitudine collocato in un diverso tempo e in un altro spazio colui che guarda. Il vero inganno non è photoshop ma la distanza reale e temporale fra i due attimi e la profonda solitudine del mancato incontro.

Anche le parole a volte, come belle immagini, sono solo apparenza. Sarebbe troppo facile fare l’esempio della parola “amore” che può voler dire tutto e niente, preferisco prenderne una che uso spesso e spesso ho sentito: figlia. E’ mai possibile che questo vocabolo possa non corrispondere ad un sentire, ad un pensare e ad un agire di cura, affetto, responsabilità, speranza, preoccupazione, attenzione? Certo che è possibile, basta leggere le cronache e basta pensare al nostro vissuto.

L’apparenza è prepotente e si impossessa a volte anche della bellezza, solo negli infiniti attimi di vita vera e di quotidiano, solo nei fatti si trova la verità, oltre l’immagine e oltre le parole.

Sfuggire all’inganno dell’apparenza non è sempre facile e riconoscere di vivere nell’inganno è certamente molto doloroso. Quando ti guardi intorno e vedi pareti, finestre e complementi d’arredo ma sai di non avere una casa, quando ti scatti un selfie e vedi uno sguardo fermo e prigioniero di un corpo, quando guardi quel copro allo specchio cercando la verità dell’anima, allora avvicinati alla finestra e guarda fuori. Esci in strada e cammina e continua a cercare un segno, una risposta, bellezza e verità, attimi di vita e occhi da interrogare.


domenica 15 aprile 2018

Bellezza


Ieri Firenze era la Primavera. Era davvero la Flora del Botticelli. Certi giorni ogni cosa risplende e risuona di un’essenza più alta e più profonda. Ripensando a cosa abbia contribuito a fare di questa giornata un regalo, cosa l’abbia resa “bella” comincio col dire: un bel sole e un inquieto venticello, aggiungo che non solo non ho preso l’auto, che per me vale mille punti, ma ho potuto passeggiare e andare in bicicletta, due cose che mi rendono felice. Passeggiare per Firenze è un’esperienza di bellezza che non necessita tante spiegazioni. Aggiungo che ho visitato un nuovo museo con una bella collezione privata e un quadro in particolare mi ha commosso. Da ultimo ma più importante: l’affetto, l’amicizia, l’attenzione e la partecipazione; in altre parole l’umanità che hanno riempito e riscaldato questa piccola e personale Primavera.

Foto di Vincenzo Palmieri
Si fa presto a dire bello, a parlare di bellezza. Ma non è sempre chiaro che cosa essa sia. Se sia una categoria di pensiero, un valore oggettivo o un’esperienza interiore. Facciamo ricorso quindi a paradigmi di bellezza acclarati e proviamo a capire meglio: Firenze e i suoi monumenti, un tramonto sul mare, Brigitte Bardot e, per non essere sessista, Paul Newman (potrei dire Sharon Stone e George Clooney magari se volessi essere più moderna). Certo gli esempi di bellezza sono molto più variegati ma volendo fare solo, al solito, qualche riflessione solitaria e non un trattato, opero una scelta.




Mi prendo la libertà di un’ulteriore scelta che restringe un po’ il campo e cioè decido di non considerare ciò che è piacevole, gradevole. Ciò che suscita piacevolezza ma non vera emozione. Ieri sera ho mangiato dell’ottimo baccalà e uno squisito cheese cake, due delle mie pietanze preferite e le ho godute moltissimo, tuttavia non parlerei di esperienza di bellezza.

In cosa consiste dunque l’esperienza della bellezza, cosa la rende specifica e potente? Io credo che la sostanziale differenza tra il cheese cake che ho gustato ieri sera e quello che ho provato pedalando per via Martelli sotto il sole, guardando l’angelo azzurro di Casorati o i tetti di Firenze e la cupola del Cestello dall’appartamento di Renate sia che nella bellezza si trova l’infinito, il possibile e forse anche l’impossibile, il desiderio, l’oltre.

Questo oltre può essere divino come lo sono certe manifestazioni della natura, dalle onde increspate, al tramonto, alle forme assurde che assumono le nuvole, all’impetuosa semplicità di una cascata. L’infinito al quale ci rimanda la natura è una forza della quale sappiamo di essere parte senza però conoscerla mai fino in fondo e senza mai governarla. E’ lo stupore di fronte al creato e il nostro essere un granello di sabbia è rassicurante e spaventoso insieme; la chiamiamo vita.

Ma l’oltre che si sperimenta nella bellezza è anche un superamento di limiti, la concreta realizzazione dell’umano che trasforma un bosco in ordinate vigne e un blocco di marmo nel David. Quell’umano ha un sovrumano che ci appartiene, è la misura della nostra capacità di superare i limiti, di immaginare ed essere con ciò non solo creature ma creatori, non sempre artisti ma sempre artefici.

La bellezza è quindi la chiave che ci apre la porta dell’infinito e del divino, come pure delle infinite possibilità dell’umano. La bellezza è anche la chiave del desiderio. Quella piega sul collo, quella smorfia che solo noi pensiamo di vedere, quel sorriso che si apre improvviso come la rete di un pescatore e ci cattura per sempre. Quegli infiniti dettagli di un corpo che ci richiama a qualcosa che ancora una volta è oltre. Umano e divino, corpo e anima ritornano insieme al divino nell’esperienza amorosa.

Non so cosa intendesse Dostoevskij con l’espressione “la bellezza salverà il mondo”. Credo però che abbia a che fare con l’esperienza profonda di divino e umano, con la passione e il desiderio che ci spingono oltre, alla vera essenza della vita.



Sesso