martedì 31 ottobre 2017

Tapas

Devo subito premettere che non parlerò degli sfiziosi spuntini iberici e che, per quanto ami cucinare, questo non è, nelle intenzioni, un blog di cucina. Tuttavia, forse proprio perché considero il cucinare un rito e un impagabile gesto d'amore, spesso uso la parola ricetta anche quando faccio riferimento ad aspetti della vita che, pur incrociando anche i fornelli, occupano una scena più vasta.

Ieri sera , al corso di meditazione che sto frequentando, ho appreso che tapas è un vocabolo sanscrito traducibile con ascesi, calore, sacrificio, servizio.
Il docente, padre Bormolini, ha anche aggiunto che "non c'è vero amore senza servizio".

Credo fermamente che abbia ragione ed ha espresso una delle convinzioni che ho maturato crescendo. La prima persona che mi viene in mente e che nella mia vita mi ha dato vero amore è mia madre e non è un caso, la maternità implica una cura e una dedizione che sono necessarie anche se non necessariamente spontanee e consapevoli. Il piccolo nasce dipendente e la madre non può sottrarsi a questo dovere di cura. Non è per niente scontato che questa cura si realizzi con naturalezza e gioia, anzi, sappiamo bene come il periodo dopo la nascita di un bambino sia sempre molto faticoso, in alcuni casi un momento di profonda crisi e depressione. La cura, il servizio, anche quelli necessari e dovuti non sono mai semplici e idilliaci. Se non è facile mettersi al  servizio di una piccola creatura che ci appartiene, è comprensibile che lo sia ancora di meno nei confronti di coloro che amiamo ma che non dipendono da noi.

 Ecco che questa parola antica con una connotazione religiosa e mistica molto forte sembra offrirci un aiuto per costruire la ricetta dell'amore. Ci propone degli ingredienti, ma anche e soprattutto un metodo. Quello della disciplina ascetica e monastica, dello sforzo teso al raggiungimento di un ordine superiore. La gratuità dell'amore e il sacrificio divengono così Regola laica in grado di guidarci.

Internet è un'inesauribile fonte di informazioni e, incuriosita da questo vocabolo, mi sono messa alla ricerca. Ho trovato interessanti siti dedicati al sanscrito alla sua fonologia e grafologia.




Per i conoscitori dell'oriente e delle sue religioni o pratiche questi segni non sono nuovi.

La caratteristica della grafologia che mi ha colpito è come sia sempre presente la riga orizzontale sopra, a volte anche la linea verticale a fianco.

In questa grafia è, in sostanza, evidente una sorta di limite, di confine.

Pensando al misticismo induista, ma più in generale al misticismo tout court direi che senza il limite non vi può essere trascendenza, senza la siepe di Leopardi non vi sono interminabili spazi. Senza una regola, una disciplina, una cura non vi è amore.


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