domenica 15 aprile 2018

Bellezza


Ieri Firenze era la Primavera. Era davvero la Flora del Botticelli. Certi giorni ogni cosa risplende e risuona di un’essenza più alta e più profonda. Ripensando a cosa abbia contribuito a fare di questa giornata un regalo, cosa l’abbia resa “bella” comincio col dire: un bel sole e un inquieto venticello, aggiungo che non solo non ho preso l’auto, che per me vale mille punti, ma ho potuto passeggiare e andare in bicicletta, due cose che mi rendono felice. Passeggiare per Firenze è un’esperienza di bellezza che non necessita tante spiegazioni. Aggiungo che ho visitato un nuovo museo con una bella collezione privata e un quadro in particolare mi ha commosso. Da ultimo ma più importante: l’affetto, l’amicizia, l’attenzione e la partecipazione; in altre parole l’umanità che hanno riempito e riscaldato questa piccola e personale Primavera.

Foto di Vincenzo Palmieri
Si fa presto a dire bello, a parlare di bellezza. Ma non è sempre chiaro che cosa essa sia. Se sia una categoria di pensiero, un valore oggettivo o un’esperienza interiore. Facciamo ricorso quindi a paradigmi di bellezza acclarati e proviamo a capire meglio: Firenze e i suoi monumenti, un tramonto sul mare, Brigitte Bardot e, per non essere sessista, Paul Newman (potrei dire Sharon Stone e George Clooney magari se volessi essere più moderna). Certo gli esempi di bellezza sono molto più variegati ma volendo fare solo, al solito, qualche riflessione solitaria e non un trattato, opero una scelta.




Mi prendo la libertà di un’ulteriore scelta che restringe un po’ il campo e cioè decido di non considerare ciò che è piacevole, gradevole. Ciò che suscita piacevolezza ma non vera emozione. Ieri sera ho mangiato dell’ottimo baccalà e uno squisito cheese cake, due delle mie pietanze preferite e le ho godute moltissimo, tuttavia non parlerei di esperienza di bellezza.

In cosa consiste dunque l’esperienza della bellezza, cosa la rende specifica e potente? Io credo che la sostanziale differenza tra il cheese cake che ho gustato ieri sera e quello che ho provato pedalando per via Martelli sotto il sole, guardando l’angelo azzurro di Casorati o i tetti di Firenze e la cupola del Cestello dall’appartamento di Renate sia che nella bellezza si trova l’infinito, il possibile e forse anche l’impossibile, il desiderio, l’oltre.

Questo oltre può essere divino come lo sono certe manifestazioni della natura, dalle onde increspate, al tramonto, alle forme assurde che assumono le nuvole, all’impetuosa semplicità di una cascata. L’infinito al quale ci rimanda la natura è una forza della quale sappiamo di essere parte senza però conoscerla mai fino in fondo e senza mai governarla. E’ lo stupore di fronte al creato e il nostro essere un granello di sabbia è rassicurante e spaventoso insieme; la chiamiamo vita.

Ma l’oltre che si sperimenta nella bellezza è anche un superamento di limiti, la concreta realizzazione dell’umano che trasforma un bosco in ordinate vigne e un blocco di marmo nel David. Quell’umano ha un sovrumano che ci appartiene, è la misura della nostra capacità di superare i limiti, di immaginare ed essere con ciò non solo creature ma creatori, non sempre artisti ma sempre artefici.

La bellezza è quindi la chiave che ci apre la porta dell’infinito e del divino, come pure delle infinite possibilità dell’umano. La bellezza è anche la chiave del desiderio. Quella piega sul collo, quella smorfia che solo noi pensiamo di vedere, quel sorriso che si apre improvviso come la rete di un pescatore e ci cattura per sempre. Quegli infiniti dettagli di un corpo che ci richiama a qualcosa che ancora una volta è oltre. Umano e divino, corpo e anima ritornano insieme al divino nell’esperienza amorosa.

Non so cosa intendesse Dostoevskij con l’espressione “la bellezza salverà il mondo”. Credo però che abbia a che fare con l’esperienza profonda di divino e umano, con la passione e il desiderio che ci spingono oltre, alla vera essenza della vita.



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