Ieri Firenze era la Primavera.
Era davvero la Flora del Botticelli. Certi giorni ogni cosa risplende e risuona
di un’essenza più alta e più profonda. Ripensando a cosa abbia contribuito a
fare di questa giornata un regalo, cosa l’abbia resa “bella” comincio col dire:
un bel sole e un inquieto venticello, aggiungo che non solo non ho preso l’auto,
che per me vale mille punti, ma ho potuto passeggiare e andare in bicicletta,
due cose che mi rendono felice. Passeggiare per Firenze è un’esperienza di
bellezza che non necessita tante spiegazioni. Aggiungo che ho visitato un nuovo
museo con una bella collezione privata e un quadro in particolare mi ha
commosso. Da ultimo ma più importante: l’affetto, l’amicizia, l’attenzione e la
partecipazione; in altre parole l’umanità che hanno riempito e riscaldato
questa piccola e personale Primavera.
Foto di Vincenzo Palmieri |
Si fa presto a dire bello, a
parlare di bellezza. Ma non è sempre chiaro che cosa essa sia. Se sia una
categoria di pensiero, un valore oggettivo o un’esperienza interiore. Facciamo
ricorso quindi a paradigmi di bellezza acclarati e proviamo a capire meglio: Firenze
e i suoi monumenti, un tramonto sul mare, Brigitte Bardot e, per non essere
sessista, Paul Newman (potrei dire Sharon Stone e George Clooney magari se
volessi essere più moderna). Certo gli esempi di bellezza sono molto più
variegati ma volendo fare solo, al solito, qualche riflessione solitaria e non
un trattato, opero una scelta.
Mi prendo la libertà di un’ulteriore
scelta che restringe un po’ il campo e cioè decido di non considerare ciò che è
piacevole, gradevole. Ciò che suscita piacevolezza ma non vera emozione. Ieri
sera ho mangiato dell’ottimo baccalà e uno squisito cheese cake, due delle mie
pietanze preferite e le ho godute moltissimo, tuttavia non parlerei di
esperienza di bellezza.
In cosa consiste dunque l’esperienza
della bellezza, cosa la rende specifica e potente? Io credo che la sostanziale
differenza tra il cheese cake che ho gustato ieri sera e quello che ho provato
pedalando per via Martelli sotto il sole, guardando l’angelo azzurro di
Casorati o i tetti di Firenze e la cupola del Cestello dall’appartamento di
Renate sia che nella bellezza si trova l’infinito, il possibile e forse anche l’impossibile,
il desiderio, l’oltre.
Questo oltre può essere divino
come lo sono certe manifestazioni della natura, dalle onde increspate, al
tramonto, alle forme assurde che assumono le nuvole, all’impetuosa semplicità
di una cascata. L’infinito al quale ci rimanda la natura è una forza della
quale sappiamo di essere parte senza però conoscerla mai fino in fondo e senza
mai governarla. E’ lo stupore di fronte al creato e il nostro essere un granello
di sabbia è rassicurante e spaventoso insieme; la chiamiamo vita.
Ma l’oltre che si sperimenta
nella bellezza è anche un superamento di limiti, la concreta realizzazione dell’umano
che trasforma un bosco in ordinate vigne e un blocco di marmo nel David. Quell’umano
ha un sovrumano che ci appartiene, è la misura della nostra capacità di
superare i limiti, di immaginare ed essere con ciò non solo creature ma
creatori, non sempre artisti ma sempre artefici.
La bellezza è quindi la chiave
che ci apre la porta dell’infinito e del divino, come pure delle infinite
possibilità dell’umano. La bellezza è anche la chiave del desiderio. Quella
piega sul collo, quella smorfia che solo noi pensiamo di vedere, quel sorriso
che si apre improvviso come la rete di un pescatore e ci cattura per sempre.
Quegli infiniti dettagli di un corpo che ci richiama a qualcosa che ancora una
volta è oltre. Umano e divino, corpo e anima ritornano insieme al divino nell’esperienza
amorosa.
Non so cosa intendesse
Dostoevskij con l’espressione “la bellezza salverà il mondo”. Credo però che
abbia a che fare con l’esperienza profonda di divino e umano, con la passione e
il desiderio che ci spingono oltre, alla vera essenza della vita.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti verranno autorizzati dal moderatore per evitare possibili pubblicazioni di contenuti non appropriati