mercoledì 5 dicembre 2018

Tasche

Ultimamente ricorrono sempre più sovente tra amici, colleghi e conoscenti le narrazioni dell’età della nostra giovinezza con divertiti o amari raffronti con l’attuale declino morfologico e spesso anche contenutistico.

A me piace pensare che invecchiare sia un processo di crescita e non di deperimento, quanto meno, non esclusivamente di deperimento.

Un modo insolito per provare a guardare all’evoluzione non solo dei tempi ma del nostro specifico e unico tempo potrebbe essere analizzare cosa portiamo con noi oggi, cosa teniamo a portata di mano, diciamo in tasca, rispetto a ciò che vi tenevamo nella dorata età della giovinezza.

io e il cappottino 
La prima cosa che mi viene in mente se chiudo gli occhi e lascio la mia piccola mano liscia e morbida entrare nella tasca del cappottino cucito dalla mamma è la goduriosa sensazione tattile provocata dal fazzoletto di cotone. A volte intatto, appena stirato e odoroso, altre usato, abusato e ridotto in orrida polpetta.

Quando frequentavo le scuole medie posso affermare con sicurezza che nelle mie tasche si trovavano spesso gomme da cancellare dai profumi nauseabondi, probabilmente sottratte alla compagna di banco, e big bubble masticate e pigiate a forza in microscopici coriandoli che finivano per creare un unico composto pseudo-organico con il panno della giacca di Principe.

Intorno ai vent’anni nelle tasche si trovava sempre un biglietto dell’autobus, qualche tappo di penna masticato e, in rare occasioni mai dimenticate, una bustina con un profilattico.

Ad un certo punto la poesia organica della giovinezza si è interrotta bruscamente con l’avvento del governo degli strumenti e della tecnica e nelle tasche di informi piumini hanno preso a gravare come pietre le chiavi della macchina.

Per un periodo non lungo abbastanza vi ho estratto ed inserito con trafelata dolcezza il contenitore porta-ciuccio per porgerlo e toglierlo alla piccola creatura che credevo di portare con me, ma che in realtà mi portava con sé.

Oggi, mentre camminavo per strada, la mia mano stanca e sciupata ha cercato riparo e riposo ed ha trovato all’interno del cappottino un enorme, disperato buco.

Quella tasca sfondata mi parla di cose perdute ma anche di cose da cercare. Quello spazio inatteso, subìto mi apre nuove possibilità, il mistero e la vertigine dell’ignoto, del non posseduto.
La consapevolezza che niente è a portata di mano. Quella mano in cerca di rifugio e riposo si è fatta avanti baldanzosa allargando lo strappo per portarmi oltre le mie tasche.

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