Ultimamente
ricorrono sempre più sovente tra amici, colleghi e conoscenti le
narrazioni dell’età della nostra giovinezza con divertiti o amari
raffronti con l’attuale declino morfologico e spesso anche
contenutistico.
A me
piace pensare che invecchiare sia un processo di crescita e non di
deperimento, quanto meno, non esclusivamente di deperimento.
Un
modo insolito per provare a guardare all’evoluzione non solo dei
tempi ma del nostro specifico e unico tempo potrebbe essere
analizzare cosa portiamo con noi oggi, cosa teniamo a portata di
mano, diciamo in tasca, rispetto a ciò che vi tenevamo nella dorata
età della giovinezza.
io e il cappottino |
La
prima cosa che mi viene in mente se chiudo gli occhi e lascio la mia
piccola mano liscia e morbida entrare nella tasca del cappottino
cucito dalla mamma è la goduriosa sensazione tattile provocata dal
fazzoletto di cotone. A volte intatto, appena stirato e odoroso,
altre usato, abusato e ridotto in orrida polpetta.
Quando
frequentavo le scuole medie posso affermare con sicurezza che nelle
mie tasche si trovavano spesso gomme da cancellare dai profumi
nauseabondi, probabilmente sottratte alla compagna di banco, e big
bubble masticate e pigiate a forza in microscopici coriandoli che
finivano per creare un unico composto pseudo-organico con il panno
della giacca di Principe.
Intorno
ai vent’anni nelle tasche si trovava sempre un biglietto
dell’autobus, qualche tappo di penna masticato e, in rare occasioni
mai dimenticate, una bustina con un profilattico.
Ad
un certo punto la poesia organica della giovinezza si è interrotta
bruscamente con l’avvento del governo degli strumenti e della
tecnica e nelle tasche di informi piumini hanno preso a gravare come
pietre le chiavi della macchina.
Per
un periodo non lungo abbastanza vi ho estratto ed inserito con
trafelata dolcezza il contenitore porta-ciuccio per porgerlo e
toglierlo alla piccola creatura che credevo di portare con me, ma che
in realtà mi portava con sé.
Oggi,
mentre camminavo per strada, la mia mano stanca e sciupata ha cercato
riparo e riposo ed ha trovato all’interno del cappottino un enorme,
disperato buco.
Quella
tasca sfondata mi parla di cose perdute ma anche di cose da cercare.
Quello spazio inatteso, subìto mi apre nuove possibilità, il
mistero e la vertigine dell’ignoto, del non posseduto.
La
consapevolezza che niente è a portata di mano. Quella mano in cerca
di rifugio e riposo si è fatta avanti baldanzosa allargando lo
strappo per portarmi oltre le mie tasche.
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