In una giornata
torrida come quella di oggi una gita fuori porta in cerca di frescura
e di respiro può alleviare la pesantezza del clima urbano ma anche
dell’asfittico spazio domestico oscurato e senza voce. Non ero mai
stata a Firenzuola. La nostra meta era il passo della Futa e a
Firenzuola abbiamo dedicato una breve sosta. Prima di andare ho
interrogato Wikipedia ed ho scoperto che Firenzuola è il comune più
a nord della città metropolitana di Firenze e che il centro abitato
venne edificato al tempo del Granducato e deve il suo nome al
capoluogo toscano. Ho anche appreso che a Firenzuola si trova un
museo della pietra serena, che però abbiamo trovato chiuso, ma,
soprattutto, ho trovato una notizia veramente interessante: in questa
zona, il 10 agosto 1968 è caduto un meteorite.
Personalmente trovo
la notizia molto interessante e rivelatoria. Non ho cognizione di
frequenti localizzazioni di meteoriti e mi è parsa cosa piuttosto
singolare; ma ammetto di non interessarmi abitualmente di corpi
celesti. L’associazione tra 10 agosto e la parola meteorite mi si è
imposta con la sua verità scientifica al di là della formula
stantìa e abusata di “notte delle stelle cadenti” con il loro
carico greve di desideri espressi che sono spesso miseri bisognini.
Mentre scrivo mi accorgo che nella parola desiderio ci sono già le
stelle e che il moto che ci spinge ad alzare lo sguardo è inverso e
ci viene suscitato dall’alto. Il desiderio è un’aspirazione al
sublime, non una fame o un bisogno da soddisfare.
Ora che il
firmamento mi appare in tutto il suo siderale e distante splendore
provo l’impellente bisogno di tornare, anzi di precipitare sulla
terra a cavallo del meteorite al quale voglio manifestare tutta la
mia simpatia. Ritengo di avere titolo per questa presa di posizione
in difesa dell’evento calamitoso che nessuna compagnia assicurativa
si sognerebbe di coprire, perché proprio il 10 di agosto ho avuto il
mio personale e specifico meteorite e, anche se mi ha causato non
pochi danni, ne conservo un ottimo ricordo. E poi, diciamo la verità,
le stelle, così distanti, che se ne brillano di luce propria lassù,
inaccesibili e solitarie, meccanica celeste del nostro destino di
marionette per gli appassionati di oroscopi, possono riempirci il
cuore di stupore e desiderio, ma ci lasciano lì a sperare in
soluzioni dall’alto sottraendoci al nostro diritto e dovere di
agire e di scegliere, ogni giorno, il bene o il male. Privandoci del rischio, dell'alea inseparabile dalle scelte d'amore.
Cimitero germanico della Futa - Foto mia |
Il libero arbitrio è
il tema centrale della storia del Grande Inquisitore contenuta ne “I
fratelli Karamazov” di Dostoevskij e oggetto della rappresentazione
teatrale itinerante Pro e Contra alla quale ho assistito presso il
suggestivo cimitero germanico del Passo della Futa.
Lo spettacolo
contrappone il nichilismo e l’indifferenza di una vita senza Dio al
desiderio di vita e di senso che si realizza ogni giorno nel ricordo,
nell’azione, nello sguardo d’amore.
Un desiderare di
farsi stelle, il de-siderare se stessi per illuminare intorno, per
dare la luce e la vita a coloro che amiamo, senza bruciarsi in
onanistiche combustioni che lasciano una scia di gas ma non regalano
una sola fiammella.
Sul cratere lasciato
dal meteorite nella nostra terra possiamo mettere una croce e una
data e serbare un dolce ricordo, come saggiamente ci insegna il
cimitero. Alle stelle possiamo guardare con emozione e stupore, ma senza chiudere gli occhi ed esprimere desideri per i quali non avremmo il coraggio di combattere in prima persona.
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