Come molti cittadini esco solo per
fare la spesa e gettare l’immondizia dal momento che posso lavorare da casa. MI
mancano molto le mie passeggiate in collina, il paesaggio, perfino il quartiere
con i suoi rumori. Tuttavia quando esco il mio solo desiderio è tornare a casa,
perché soffro lo spazio urbano disumanato. Tollero con grande fatica le immagini
dal drone della mia città deserta. Una
città non sono i suoi monumenti, per quanto unici ed eterni, non è il Grand
Canyon o il Sahara o la savana. Una città è uno spazio antropico ed esiste solo
come tale, non può e non deve essere un paesaggio da assaporare, una prateria
da immaginare. E’ città solo nella misura in cui è vissuta.
Ho sempre amato questo quadro e
ne ho un poster in camera. “La città ideale” rappresenta uno spazio
apparentemente inabitato anche se quella porta aperta allude ad una possibilità
di incontro e accoglienza che oggi è negata. Per questo l’immagine di Papa
Francesco ieri sera in preghiera nella piazza desolata ha conferito all’evento
un impatto emotivo intenso.
Il Pontefice ha scelto deliberatamente
di abitare quello spazio desolato, evocando con la sua solitaria preghiera la
ricerca di interiorità e raccoglimento nel deserto della quarantena di Gesù, ma
anche riportando l’uomo nello spazio che gli appartiene ed esiste solo nel
riconoscimento reciproco. I passi incerti di Francesco sul sagrato mi sono apparsi
come una tenera carezza alla solitudine dolente del vuoto urbano.
Siamo ancora cittadini senza
abitare la città? E La città è ancora tale nello scorrere ininterrotto del selciato?
Le nuove tecnologie ci asserviscono
da anni, ma, in questa circostanza, ci hanno consentito di lavorare, seguire una
lezione scolastica, essere informati, vedere amici e parenti segregati altrove,
ascoltare concerti improvvisati. Tuttavia la polis virtuale non può che
costituire un pallido surrogato dell’ambiente antropizzato e tutti siamo
consapevoli del fatto che una videochiamata non è un abbraccio.
Responsabilmente restiamo a casa
isolati anche dai nostri più stretti familiari e con tristezza e solidarietà
leggiamo le notizie e ascoltiamo i bollettini di questa epidemia globale che
lascerà dietro di sé un mondo necessariamente mutato. Soli, nelle nostre abitazioni
che sembrano non avere più un legame reale con un esterno desertificato. Prego
dalla mia casa ogni giorno, ma sono grata al Papa per aver riempito con la sua
preghiera il freddo vuoto di una piazza senza passi e senza voci.
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