sabato 28 marzo 2020

Deserto


Come molti cittadini esco solo per fare la spesa e gettare l’immondizia dal momento che posso lavorare da casa. MI mancano molto le mie passeggiate in collina, il paesaggio, perfino il quartiere con i suoi rumori. Tuttavia quando esco il mio solo desiderio è tornare a casa, perché soffro lo spazio urbano disumanato. Tollero con grande fatica le immagini dal drone  della mia città deserta. Una città non sono i suoi monumenti, per quanto unici ed eterni, non è il Grand Canyon o il Sahara o la savana. Una città è uno spazio antropico ed esiste solo come tale, non può e non deve essere un paesaggio da assaporare, una prateria da immaginare. E’ città solo nella misura in cui è vissuta. 

Ho sempre amato questo quadro e ne ho un poster in camera. “La città ideale” rappresenta uno spazio apparentemente inabitato anche se quella porta aperta allude ad una possibilità di incontro e accoglienza che oggi è negata. Per questo l’immagine di Papa Francesco ieri sera in preghiera nella piazza desolata ha conferito all’evento un impatto emotivo intenso. 


Il Pontefice ha scelto deliberatamente di abitare quello spazio desolato, evocando con la sua solitaria preghiera la ricerca di interiorità e raccoglimento nel deserto della quarantena di Gesù, ma anche riportando l’uomo nello spazio che gli appartiene ed esiste solo nel riconoscimento reciproco. I passi incerti di Francesco sul sagrato mi sono apparsi come una tenera carezza alla solitudine dolente del vuoto urbano.


Siamo ancora cittadini senza abitare la città? E La città è ancora tale nello scorrere ininterrotto del selciato?

Le nuove tecnologie ci asserviscono da anni, ma, in questa circostanza, ci hanno consentito di lavorare, seguire una lezione scolastica, essere informati, vedere amici e parenti segregati altrove, ascoltare concerti improvvisati. Tuttavia la polis virtuale non può che costituire un pallido surrogato dell’ambiente antropizzato e tutti siamo consapevoli del fatto che una videochiamata non è un abbraccio. 


Responsabilmente restiamo a casa isolati anche dai nostri più stretti familiari e con tristezza e solidarietà leggiamo le notizie e ascoltiamo i bollettini di questa epidemia globale che lascerà dietro di sé un mondo necessariamente mutato. Soli, nelle nostre abitazioni che sembrano non avere più un legame reale con un esterno desertificato. Prego dalla mia casa ogni giorno, ma sono grata al Papa per aver riempito con la sua preghiera il freddo vuoto di una piazza senza passi e senza voci.

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