domenica 3 dicembre 2017

Attesa

Affrontare un tema come l'attesa per me costituisce una vera sfida. Diciamo che la pazienza non è una qualità che mi viene proprio naturale. Sono una persona puntuale e, come tutte le persone puntuali, condannata a lunghe e immeritate attese. Mi sembra di non avere mai abbastanza tempo e detesto quando gli altri decidono per me come devo usarlo facendomi aspettare. 
Con questa premessa potrei anche fermarmi qui e stabilire che l'attesa sia una condizione subita e non scelta e, come tale, una violenza, un momento di malessere nel rapporto con se stessi e con gli altri.

In effetti non è questo il mio proposito. Voglio parlare dell'attesa come approccio e come scelta. Un'attesa non riconducibile ad un fatalismo che fornisce un alibi all'incapacità di prendere decisioni, ma dettata da una volontà precisa e consapevole di voler maturare le proprie scelte modellandole su bisogni reali e profondi e non su impulsi del momento e finti bisogni indotti.

Tempo fa mio cognato mi raccontava di come da ragazzino avesse a lungo messo da parte i risparmi per acquistare un binocolo e di come poi avesse alla fine lasciato il binocolo nella vetrina del negozio felice di aver raggiunto il suo obiettivo ma realizzando di non averne veramente bisogno.

Questa è l'attesa che ho imparato con dolore e fatica ma che mi ripaga di una consapevolezza chiara e di un senso profondo di quelle che sono le mie motivazioni.

L'attesa è la grande assente dell'attualità. Tutto si consuma in pochi istanti e uso il verbo consumare perché di ciò che popola il nostro quotidiano spesso non rimane niente. Le nuove tecnologie hanno stravolto tempi e modalità di approccio al mondo esterno. Siamo sempre, perennemente connessi, bombardati di informazioni (spesso fake, post-vere, inutili). Siamo sempre a disposizione degli impulsi che ci governano da fuori e sempre meno in contatto con noi stessi.

Quando ero ragazzina e a scuola ci davano da fare una ricerca  questo si traduceva nel cercare libri sull'argomento, a casa o in biblioteca, nell'utilizzare l'enciclopedia e collegare i contenuti trovati a quanto studiato sui libri di scuola. Il lavoro richiedeva tempo e impegno e quell'attività di recupero e rielaborazione di dati poteva veramente significare un'acquisizione di maggiori capacità e conoscenze. Le ricerche fatte da mia figlia alle medie sono state, a mio avviso, una colossale perdita di tempo, un copia e incolla di contenuti presi da fonti non necessariamente attendibili trovati sul web grazie ai cosiddetti "motori di ricerca". Chissà perché si chiamano così; in effetti, a pensarci bene, generano un vero spostamento della ricerca, un moto dall'interno verso l'esterno. La ricerca non è più nostra, non siamo noi gli agenti, i motori, noi siamo meri utenti che trovano risultati scelti da altri che decidono cosa mostrare e cosa no.

I social, così rassicuranti con le loro risposte immediate e i loro like fingono di esaltarci e darci valore quando in realtà ci usano a fini commerciali. Il pullulare di corsi universitari e master in web marketing dovrebbero farci riflettere, così come le informazioni  che ci vengono rubate e utilizzate poi per proporci contenuti su misura o quasi.

Quello che ci viene proposto raramente soddisfa un nostro reale bisogno, si tratta per lo più di bisogni indotti, ineliminabili nella società dei consumi, ma ritagliati sulla base dei nostri profili, della nostra schedatura web.
Spesso questi bisogni ci sembrano così reali, perché così vicini ai nostri interessi, che ne sentiamo l'urgenza, magari alimentata da un'offerta imperdibile che sta per scadere. Con un click acquistiamo in pochi istanti qualcosa che ci verrà recapitato e di cui non sappiamo l'origine e solo più tardi ci accorgiamo che avremmo potuto benissimo farne a meno (pensiamo a quello che è successo il giorno del black friday). 

Nel mio lavoro lo strumento principale è la posta elettronica. Arrivano continue email e si è continuamente distolti da quello a cui si stava lavorando costretti a spostare l'attenzione altrove, non necessariamente su questioni più urgenti. Questa dissociazione è divenuta una condizione del vivere quotidiano e si necessita di grande equilibrio per rimanere connessi ai nostri veri bisogni, alle nostre priorità. 

Ecco che l'attesa ci aiuta a costruirci gli anticorpi, a rimanere connessi con la nostra interiorità e i nostri principi, a stabilire le priorità e rimanere focalizzati su quelli che sono i nostri veri bisogni come esseri umani e non come consumatori o naviganti a caccia di like.

La parola attesa ha una connotazione positiva, c'è nell'attesa la speranza, è aspettativa. Non è mai subita, è invece sempre espressione del soggetto che attende e che tende verso una meta. 

Attesa agìta e costruttiva contro la distruzione del consumo istantaneo.


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