domenica 26 novembre 2017

Maleducazione

Non sono mai stata una fanatica delle buone maniere. Da buona toscana ho sempre dato la priorità a verità e schiettezza e ho spesso sospettato dell'eccessiva affettazione. Insomma, mi capita di avere il babbo a pranzo e, magari, non sempre lo servo per primo, anche se è il più anziano,e non faccio, come diciamo noi, tanti complimenti. Ecco, anche io sono maleducata, questo volevo dire. Certe volte manco di salutare qualche collega che incrocio nell'edificio, certe volte interrompo chi sta parlando.

La maleducazione cambia ovviamente con il soggetto che la giudica, la subisce o la pratica. Quindi, non essendo un valore condiviso, la sua definizione o, meglio, la sua manifestazione può non essere uguale per tutti.

Ho fatto una ricerca su twitter digitando #maleducazione. Gli utenti twitter con età tra i 18 e i 29 anni risultano essere il 37%. Non è un social "giovane" come instagram o snapchat ma mi sento di poter dire che vi si trovino pochi anziani. Mi interessava capire cosa significhi maleducazione non solo per la mia generazione ma anche per i nostri figli.

Il primo posto della maleducazione denunciata lo guadagnano i comportamenti sui mezzi di trasporto, in particolare i tweet registrano telefonate ad alta voce in treno o piedi e anche scarpe sui sedili, al secondo posto gli automobilisti che parcheggiano ovunque o accelerano alla vista del pedone e al terzo i vicini rumorosi. Situazioni che conosciamo tutti bene e sulle quali ritengo ci possa essere un discreto margine di condivisone anche tra generazioni diverse, come sul linguaggio volgare o i veri e propri insulti.

Si trova anche qualche denuncia, a mio avviso, più soggettiva; ad esempio qualcuno si lamenta delle mamme che su autobus o metro non chiudono il passeggino. Comportamento in effetti contrario alle regole del mezzo di trasporto ma che, in qualche caso mi sento di giustificare perché da sola, con un bimbo piccolo e, magari, un paio di borse, aprire e chiudere un passeggino su un autobus può andare vicino  a un percorso ai giochi senza frontiere. Ho trovato anche un caso di soggetto infastidito dai #vecchichevannoacamminare #maleducazione, confesso di non avere capito per mio limite l'oggetto della denuncia, ma ho subito pensato al babbo che esce eroicamente ogni giorno e quando sente arrivare un trolley si appiattisce al muro per paura di essere travolto da qualche giovane trafelato. 

Esiste quindi la maleducazione percepita (come le molestie percepite recentemente al centro dell'attenzione della cosiddetta opinione pubblica), un alone di soggettività ha evidentemente trasformato una materia un tempo oggetto di severe norme sociali e codificata in veri e propri manuali.

Quando alla radio ho sentito la Preside del Liceo Virgilio di Roma che, di fronte a comportamenti quali occupazione della scuola con organizzazione al suo interno di festini a pagamento aperti ad esterni, sesso in classe e pure due bombe carta, parlava di "segnali", ho provato pena e rabbia. Pena per un'istituzione ormai destituita di ogni valore e rabbia perché i cosiddetti segnali a me sembrano reati passibili di denuncia e trovo che chiamarli segnali sia una triste sconfitta.

La preside della scuola che frequenta mia figlia l'anno scorso ha emanato una circolare che non solo vietava l'uso dei cellulari, ma anche dei chewing gum, e imponeva agli studenti di "salutare" i professori all'interno dell'edificio. Sono rimasta stupita, mi pareva quasi un eccesso di zelo. Poi ai colloqui una professoressa mi ha detto che a volte mia figlia masticava la gomma in classe. Mi è molto dispiaciuta l'immagine della mia creatura che rumina mentre un'insegnante sta spiegando. Le ho detto di smettere. Non l'avevo mai fatto prima; ma è giusto dare per scontato che "certe cose non si fanno"? 

Forse ci vorrebbe un Giovanni Della Casa youtuber o influencer, ci vorrebbe un manuale aggiornato con la sezione social network e smartphone, perché a limitarne l'uso ci posso anche riuscire, a non farlo usare a tavola pure, ma se le regole non sono condivise e se al ristorante, tutti, grandi e piccini, guardano uno schermo invece di guardarsi in faccia è difficile che una tale posizione non sembri soggettiva. 

Le buone maniere ai tempi di wathsapp, ecco lo chiamerei così. Forse dovremmo leggerlo prima noi adulti, sperando di trovarci scritto che se ricevi una telefonata e non puoi rispondere, richiami. Se ricevi un messaggio, rispondi. Quando comunichi usi formule stantie  ma ancora significanti tipo, buongiorno, grazie, prego, scusa e non solo faccine che mi comunicano, forse, la tua emozione ma magari non la risposta alla domanda. Insomma i social media sono per l'appunto mezzi di comunicazione e come tali devono essere utilizzati. Si comunica sempre con gli altri. 

Ho iniziato a tenere questo blog per comunicare. L'ho chiamato Vocabolario Solitario perché volevo parlare delle parole che risuonano nelle mia vita, spesso solitaria. Scrivere mi piace e mi dà modo di chiarire a me stessa il mio pensiero ma ovviamente il mio desiderio è di comunicarlo ad altri.

La società dei consumi ci ha portato ad un individualismo estremo e disperato, nel quale ognuno cerca solo di realizzare un proprio singolare disegno, di esprimersi in totale libertà senza vincolo alcuno. Non so come si possa superare questa grave regressione umana ma credo che le buone maniere potrebbero essere d'aiuto abituando a ricordare l'esistenza e la presenza dell'altro, la sua dignità, il rispetto che gli dobbiamo. 

Se le buone maniere possono, in una certa misura, rappresentare qualcosa che ho spesso giudicato falso, credo che il rispetto che ci insegnano sia una cosa alta e sacra. 


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