domenica 9 giugno 2019

Vulnerabilità

Alcuni giorni fa con il Laboratorio di scrittura di Alessandra siamo   andati in gita e la meta della gita era Piazza D'Azeglio, dove  Alessandra ci ha chiesto di scrivere una storia, un ricordo, una descrizione; insomma, ci ha chiesto di sedersi su una panchina  e  narrare. Io ho un ricordo legato a quella piazza che non mi ha   lasciato scelta e voglio condividerlo sul blog con questo titolo   perché credo alle parole di C.S. Lewis, autore fantasy di Narnia, che "amare significa essere vulnerabili" e credo che lasciarsi ferire  sia una capacità, una vera abilità, strettamente connessa alla  nostra  capacità di amare. 


Piazza D'Azeglio
Foto di Alessandra Cafiero



La sistemai sul passeggino e lo sollevai con lei seduta che mi guardava sempre piena di stupore. Con una forza che prima di Anna non sapevo di possedere scesi le scale, così, la borsa su una spalla e il passeggino contro il corpo. Uscii in strada, borbottai contro i soliti automobilisti indisciplinati e le auto parcheggiate sul marciapiede che mi costringevano a continue e pericolose deviazioni in piena carreggiata.
Non credo di aver mai veramente avuto paura della morte fino alla gravidanza e ai primi anni di vita di Anna. Ricordo con chiarezza il terrore di essere investita, di abbandonarla, di venir meno al mio compito.
Piazza D’Azeglio era quieta e assonnata un po’ come me, spossata da una notte faticosa. Feci scendere Anna e tenendola per mano la portai a cavalcare sulla molla e poi sull’altalena.
Il suo passo era ancora incerto e traballante, aveva un anno e mezzo. La presi in braccio e la sistemai sull’altalena. Rideva felice pronta a volare e io la tirai verso di me guardandola sorridere e poi la spinsi via con forza per farla volare in alto. L’altalena oscillò all’indietro e quando raggiunse la massima altezza, in quell’istante di fermo immagine che segna l’inizio della discesa e del ritorno, la vidi scivolare lentamente, le manine sollevate, inermi.
Il colpo ai denti fu violento, piangeva, il viso insanguinato. Non ricordo più bene. Ricordo una signora che mi si accostò porgendomi il dentino. Ricordo di essere andata al Meyer in taxi.
Poi ricordo molto bene quel sorriso bellissimo e perfetto devastato e scomposto da un vuoto, una ferita sempre aperta.
“Vede signora il trauma purtroppo ha danneggiato gli alveoli. Gli incisivi anteriori non cresceranno”
“E quindi, scusi, cosa posso fare, un impianto?”
“Si, certo. Quando avrà 18 anni, non prima”.
Ricordo bene le visite dal dentista, le radiografie, le TAC, gli apparecchi, il dito in bocca che faceva diventare sempre più grande la finestra che le squarciava il sorriso. Ricordo le richieste sempre uguali: “Ti è cascato un dente? E’ passato un topolino?” . Ricordo Anna paziente. Ferita e paziente.
Ricordo bene quel giorno ad agosto 2013, la mamma era morta da poco più di un mese e sulla gengiva, là in alto, si vedeva come un puntino. Ricordo Anna che si toccava e si guardava allo specchio finché non fu certa che quel puntino era un minuscolo pezzettino di quel dente informe, scuro e senza radice che nonostante tutto aveva trovato la strada e voleva uscire.
“E’ stata la nonna dal cielo” disse.
Forse era davvero così e so che la mamma se avesse potuto farmi un regalo mi avrebbe fatto proprio quello.
Ricordo quando lasciammo il dentista, due anni fa, con le faccette lisce e bianche poste sopra quelle escrescenze sgraziate. Ricordo di averla guardata sorridere felice. Mai così felice. Mai quanto me nel vederla.
Quante volte ho pensato che quella mattina avrei potuto rimanere a casa e non portarla ai giardini, avrei potuto non metterla sull’altalena, accorgermi che era difettosa.
Questa storia è ancora oggi la storia della mia vita che vorrei riscrivere. Il destino che vorrei cambiare. La forza degli eventi che non possiamo controllare, il dolore che dobbiamo accettare, la colpa che dobbiamo portare.
Non ho saputo farti volare. Mi hai insegnato a guardare il cielo.


Anna - Foto mia

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